mercoledì 7 marzo 2018

RECENSIONE - "Arabesque" - A. Gazzola

Buongiorno!

Vi parlo oggi di una mia recente lettura, un romanzo lieve e simpatico che ha avuto il sapore di un "ritorno a casa" per me.

RECENSIONE
ARABESQUE
Alessia Gazzola
2017, Longanesi

TRAMA: Tutto è cambiato, per Alice Allevi: è un mondo nuovo quello che la attende fuori dall'Istituto di Medicina Legale in cui ha trascorso anni complicati ma, a loro modo, felici. Alice infatti non è più una specializzanda, ma è a pieno titolo una Specialista in Medicina Legale. E la luminosa (forse) e accidentata (quasi sicuramente) avventura della libera professione la attende. Ma la libertà tanto desiderata ha un sapore dolce amaro: di nuovo single dopo una lunga storia d'amore, Alice teme di perdere i suoi punti di riferimento. Tutti tranne uno: l'affascinante e intrattabile Claudio Conforti, detto CC, medico legale di comprovata professionalità e rinomata spietatezza. Quando le capita il suo primo incarico di consulenza per un magistrato, Alice si rimbocca le maniche e sfodera il meglio di sé. Al centro del caso c'è una donna di 45 anni, un tempo étoile della Scala e oggi proprietaria di una scuola di danza. In apparenza è deceduta per cause naturali. Eppure, Alice ha i suoi sospetti e per quanto vorrebbe che le cose, per una volta almeno, fossero semplici, la realtà è sempre pronta a disattenderla. Perché, grazie alla sua sensibilità e al suo intuito, Alice inizia a scoprire inquietanti segreti nel passato della donna, legati all'universo - tanto affascinante quanto spietato e competitivo - del balletto classico...

Adesso tutto torna. Maddalena ha voluto indossare quell'abito, lo stesso che portava quando erano felici e che si è animato di vita perché probabilmente lui una volta glielo ha tolto di dosso. Lo ha cercato per anni, uguale. Per poterlo guardare ancora una volta e per provare ancora le emozioni di quella giovinezza che se n'era andata via. Avrebbe dovuto mandare al diavolo il balletto, suo padre e tutto il resto. Ora chi glieli dà più i fiori del suo giardino, le notti senza stanchezza, i suoi vent'anni?

Settimo volume (comprendendo anche il breve prequel) della serie de L'allieva, alias Alice Allevi, l'impacciata medico legale inventata da Alessia Gazzola, che l'anno scorso ha avuto anche una versione televisiva (e a quanto so, è attualmente in preparazione anche la seconda stagione della fiction interpretata da Alessandra Mastronardi e Lino Guanciale). Dopo i primi tre volumi ("L'allieva", "Un segreto non è per sempre" e "Le ossa della principessa") avevo interrotto la serie (i due successivi sono "Una lunga estate crudele" e "Un po' di follia in primavera"), in parte perché distratta da altri tipi di lettura, in parte perché un pochino annoiata dal tira-e-molla sentimentale dell'eterna indecisa protagonista, che mi sembrava stesse prendendo il sopravvento sulle vicende gialle e sulle indagini alla C.S.I. che tanto mi avevano incuriosito all'inizio. Avendo saltato i successivi due volumi della serie, avevo un po' di timore di perdermi nel leggere questo settimo episodio (acquistato grazie a una super offerta Kindle). In realtà "Arabesque" si è rivelata una piacevolissima lettura, una rigenerante pausa leggera ma non banale tra alcune letture "importanti", che in definitiva fa esattamente quello che promette: intrattenere senza essere sciocco e superficiale. Non aver seguito le ultime vicende di Alice e il suo dibattersi tra Arthur e Claudio, e non essere stata quindi aggiornata sui risvolti rosa della sua vita, non ha inficiato affatto la lettura di questa storia, e anzi, l'evolversi dei suoi sentimenti mi è sembrato finalmente un po' più maturo e meno ondivago e indeciso e mi ha permesso di dedicarmi ad una lettura rigenerante.

E poi la vicenda gialla di questo "Arabesque" mi ha davvero stupito (in positivo): molto ben costruita, con bei personaggi e bei retroscena, con una notevole introspezione psicologica piuttosto inaspettata, e con uno sguardo adulto ma non disincantato sui rimpianti, sulle occasioni perdute, sulle scelte di vita che spesso portano su strade impreviste e un po' tristi.

Mi piace questa Alice un po' più sicura di sé stessa, sempre empatica e sensibile ma molto più fredda nell'analisi dei suoi stessi sentimenti e di quelli delle persone che la circondano nella sua vita personale ma anche - e soprattutto, direi - di quelle che incontra nel corso del suo lavoro, che siano vittime, testimoni o colpevoli.

Buone letture,

Eva

lunedì 5 marzo 2018

"La Lettura" di lunedì

Buongiorno!

E buon inizio di settimana, che di lunedì mattina non guasta mai. Sì, anche per me il lunedì è sempre difficile ricominciare il solito tran tran, le solite abitudini, svegliarsi presto, correre di qua e di là... soprattutto perché da qualche tempo a questa parte ho iniziato a godere di una bellissima consuetudine della domenica: un bel caffé macchiato e una mezzoretta dedicata a sfogliare la versione cartacea di "la Lettura", il settimanale del Corriere della Sera dedicato a scrittura, arte e cultura (del quale trovate anche un interessantissima e sempre varia versione digitale, QUI).

Ogni settimana trovo spunti interessanti, articoli che leggo ad alta voce a mio marito e mio figlio, inchieste approfondite e soprattutto tanti consigli di lettura, che vanno ad aggiungersi alla mia infinita lista dei desideri.

Ho deciso quindi di condividere qui sul blogghino alcuni dei titoli che mi colpiscono, sperando di poter presto dedicarmi alla loro lettura, e prolungare così fino al primo, triste giorno della settimana una dolce abitudine della mia domenica mattina.

ORIENT, di Christopher Bollen. Orient, sulla punta del North Fork di Long Island, affacciata sul braccio di mare che separa l’isola dal Connecticut. Meno famosa del South Fork, quella degli Hamptons, con relativi magnati dello show business newyorchese, attori e scrittori famosi. In questo paradiso marittimo dei falchi di mare, dei pescatori e delle fioriture selvagge, abitato dalle stesse famiglie da molte generazioni, arriva un giorno da New York Mills, un «drifter», un vagabondo, ex tossicodipendente, ex bambino abbandonato, passato da un affido all’altro. Ospite, in cambio di lavoro, di un signore che possiede una bella casa di famiglia da sgombrare e ristrutturare dopo la morte della madre, Mills viene accolto da subito con molta diffidenza nella comunità locale, tanto più che, dopo il suo arrivo, uno per volta, si cominciano a rinvenire numerosi corpi senza vita. Episodi di violenza mai visti prima nella tranquilla cittadina. Mills, con l’aiuto di Beth, ex artista e moglie in crisi di artista famoso, tornata a Orient dopo anni trascorsi a New York, decide di indagare su una pista parallela a quella della polizia, determinato a capire chi e che cosa c’è dietro il mistero, in una corsa contro il tempo prima che la piccola cittadina finisca per distruggerlo.

E' nella mia lista dei desideri perché... Mi ha colpito per l'articolo (dello stesso autore) che parla dei libri cui è debitore per  la stesura di questo suo romanzo, e poi soprattutto per la splendida copertina, raffinata ed elegantissima. Bollati Boringhieri, una CE che ultimamente mi sta stuzzicando parecchio.

RESTO QUI, di Marco Balzano. L'acqua ha sommerso ogni cosa: solo la punta del campanile emerge dal lago. Sul fondale si trovano i resti del paese di Curon. Siamo in Sudtirolo, terra di confini e di lacerazioni: un posto in cui nemmeno la lingua materna è qualcosa che ti appartiene fino in fondo. Quando Mussolini mette al bando il tedesco e perfino i nomi sulle lapidi vengono cambiati, allora, per non perdere la propria identità, non resta che provare a raccontare. Trina è una giovane madre che alla ferita della collettività somma la propria: invoca di continuo il nome della figlia, scomparsa senza lasciare traccia. Da allora non ha mai smesso di aspettarla, di scriverle, nella speranza che le parole gliela possano restituire. Finché la guerra viene a bussare alla porta di casa, e Trina segue il marito disertore sulle montagne, dove entrambi imparano a convivere con la morte. Poi il lungo dopoguerra, che non porta nessuna pace. E così, mentre il lettore segue la storia di questa famiglia e vorrebbe tendere la mano a Trina, all'improvviso si ritrova precipitato a osservare, un giorno dopo l'altro, la costruzione della diga che inonderà le case e le strade, i dolori e le illusioni, la ribellione e la solitudine. Una storia civile e attualissima, che cattura fin dalla prima pagina.

E' nella mia lista dei desideri perché... Ancora una bellissima copertina, che mi ha attirato subito. E poi, nell'articolo di Paolo di Stefano, un bellissimo approfondimento sui personaggi del romanzo.

JOCA, IL "CHE" DIMENTICATO, di Alfredo Sprovieri. “Nella vita bisogna fare una scelta. Lo so che questo non è il mio paese, ma c’è la libertà da difendere e se nessuno ci prova le cose non cambieranno mai”. Libero Giancarlo Castiglia emigrò in Brasile dalla Calabria a metà degli anni ’50. Dopo un’esperienza come metalmeccanico a Rio De Janeiro, iniziò a collaborare con la redazione del giornale comunista “A Classe Operaria”. Anni difficili, quelli della dittatura militare che depose con la forza il governo del trabalhista João Goulart: il nuovo governo proibì gli scioperi e nel 1965 mise fuori legge le forze politiche avversarie. Castiglia poteva tornare in Italia, ma decise di lottare. Dopo una fase di addestramento in Cina, conosciuto come “Joca”, si mise al comando di un distaccamento della guerriglia rurale in Amazzonia: in soli 69 contro migliaia di soldati. Dopo anni di epiche battaglie Joca e i suoi vennero sconfitti fra il 1973 e il 1974, e sparirono nel nulla a seguito di un imponente rastrellamento. All’inizio del nuovo millennio, però, in una fossa comune vicina al grande fiume Araguaia, viene ritrovato uno scheletro con le mani mozzate: il governo brasiliano ritiene possano essere i resti dell’italiano e organizza una spedizione in Calabria alla ricerca del suo dna. Ma da quel giorno di speranza ritorna il silenzio, nessuno in tutti questi anni ha mai voluto dare alla sua famiglia quello che gli spetta di diritto: il corpo del proprio caro insieme alla verità sulla sua morte. Una storia, sconosciuta ai più, che ricorda per alcuni tratti l’epopea del “Che”, e su cui il giornalista Alfredo Sprovieri ha deciso di fare chiarezza. Introdotto da Goffredo Fofi, il libro racconta le città e le foreste in cui il Plan Condor inghiottì la meglio gioventù sudamericana. Le due parti del saggio sono precedute e seguite da due brevi incursioni di inchiesta vera e propria che ci riportano al tempo presente e rivelano inediti retroscena sulla vicenda.

E' nella mia lista dei desideri perché... E' bastata la parola "Che" nel titolo per attirarmi verso questo libro. Non se ne parlava in un articolo, ma nella pagina di pubblicità della casa editrice Mimesis Edizioni, una piccola realtà lombarda che ha nel catalogo molti saggi interessanti.

Buone letture e, soprattutto, buona settimana!

Eva

giovedì 1 marzo 2018

RECENSIONE - "Un ragazzo normale" - L. Marone

Buongiorno!

Oggi vi parlo di un romanzo che, a quanto pare, sta dividendo la "critica" (nel senso probabilmente ristretto dei blog letterari) tra chi lo ha amato e chi invece ne è rimasto deluso...

RECENSIONE
UN RAGAZZO NORMALE
Lorenzo Marone
2017, Feltrinelli

TRAMA: Mimì, dodici anni, occhiali, parlantina da sapientone e la fissa per i fumetti, gli astronauti e Karate Kid, abita in uno stabile del Vomero, a Napoli, dove suo padre lavora come portiere.
Passa le giornate sul marciapiede insieme al suo migliore amico Sasà, un piccolo scugnizzo, o nel bilocale che condivide con i genitori, la sorella adolescente e i nonni.
Nel 1985, l’anno in cui tutto cambia, Mimì si sta esercitando nella trasmissione del pensiero, architetta piani per riuscire a comprarsi un costume da Spiderman e cerca il modo di attaccare bottone con Viola convincendola a portare da mangiare a Morla, la tartaruga che vive sul grande balcone all’ultimo piano. Ma, soprattutto, conosce Giancarlo, il suo supereroe. Che, al posto della Batmobile, ha una Mehari verde. Che non vola né sposta montagne, ma scrive. E che come armi ha un’agenda e una biro, con cui si batte per sconfiggere il male.
Giancarlo è Giancarlo Siani, il giornalista de “Il Mattino” che cadrà vittima della camorra proprio quell’anno e davanti a quel palazzo.
Nei mesi precedenti al 23 settembre, il giorno in cui il giovane giornalista verrà ucciso, e nel piccolo mondo circoscritto dello stabile del Vomero (trenta piastrelle di portineria che proteggono e soffocano al tempo stesso), Mimì diventa grande. E scopre l’importanza dell’amicizia e dei legami veri, i palpiti del primo amore, il valore salvifico delle storie e delle parole.
Perché i supereroi forse non esistono, ma il ricordo delle persone speciali e le loro piccole grandi azioni restano.

Era già a qualche metro di distanza quando si voltò.
"Mimì..."
"Eh..."
"Il finale... potresti lasciarlo aperto a più possibilità. Mica devi per forza trovare una soluzione per far contento il lettore, non tutte le storie hanno un buon finale", e mi strizzò l'occhio.
E' vero, Giancà, non tutte le storie hanno un buon finale.

Una casa vuota, disabitata, silenziosa. Muri spogli, segnati dal tempo: qui l'ombra di una libreria, là probabilmente c'era il letto, e il lungo corridoio per arrivare a un terrazzo che, chissà perché, da bambino sembrava enorme. E sul muro, un po' nascoste, le loro iniziali, incise in un pomeriggio di noia: SFMV. Sasà Fabio Mimì Viola. Quattro dodicenni napoletani, il racconto della loro estate del 1985, e Mimì, ormai un quarantenne Domenico, con moglie e figlio, che vive altrove, che cammina tra i ricordi di quei mesi.

Nel corso di quell'estate, Mimì ha sperimentato per la prima volta cosa significa crescere: abbandonare per sempre il sé stesso bambino, con gli ultimi strascichi dell'infanzia che fanno spazio ai turbamenti adolescenziali, alla sete di libertà e giustizia, alle amicizie "da grande". In un continuo avvolgersi del tempo, andando avanti e indietro nei ricordi di questo ragazzo napoletano tanto particolare, anche noi lettori facciamo la conoscenza con personaggi reali oppure inventati ma realistici e vivacemente caratterizzati. Ci sono i nonni, saggi e teneri, che regalano di nascosto a Mimì le "diecimila lire" per offrire il gelato alla ragazza del cuore; ci sono mamma e papà, una mamma e un papà normali, che non capiscono bene questo figliolo tanto diverso ma che comunque ne sono orgogliosi, e tanto in ogni caso lo accetterebbero e lo amerebbero comunque fosse; c'è Viola e la sua famiglia di ricchi borghesi del Vomero, a cui Mimì guarda dal "basso" del gabbiotto del portiere; c'è l'amico Sasà, simbolo di tanti ragazzi napoletani un po' borderline, in bilico tra la legalità e il grande salto nel "sistema", che potrebbe garantire loro quella ricchezza e quel benessere da cui si sentono, con rabbia, esclusi.

E poi c'è lui, Gianca'. Giancarlo Siani, un ragazzo normale. Un giornalista coraggioso. Un supereroe con cui sperimentare la lettura del pensiero, a cui chiedere consigli d'amore e letterari, con cui cantare a squarciagola la canzone preferita di Vasco Rossi, da difendere a spada tratta nei confronti degli altri adulti, spaventati dal suo mettersi in mostra, dal suo non chinare la testa come tutti.

Ho trovato questo libro poetico, commovente, emozionante e ben scritto. "Un ragazzo normale" è il secondo romanzo di Marone che leggo, qualche mese dopo "Magari domani resto" che mi era piaciuto molto soprattutto per il personaggio di Luce. Ma mentre lì avevo trovato molta cartolina, una Napoli ben descritta ma forse troppo positiva e in buona "luce" (perdonate il gioco di parole), qui ho trovato tanto cuore napoletano, con i suoi lati oscuri e profondi, con le sue paure, le sue vigliaccherie, le sue inevitabili piccolezze.

Quando Mimì parla come nessun altro, in modo assurdo e quasi inverosimile, senza preoccuparsi di essere preso in giro per le sue parole complicate, per la sua cultura enciclopedica, per la sua pignoleria, per il suo essere profondamente, immensamente diverso da tutti quelli che gli girano intorno, comprese le persone che lui pure ama, sta rimarcando secondo me la necessità (inconscia) di staccarsi in modo radicale dall'ambiente in cui si è cresciuti per poter essere diversi, per poter andare via, davvero.

Nell'estate in cui tutto cambiò, non soltanto Giancarlo Siani venne ucciso da due sicari in una tiepida sera di settembre. Non soltanto Mimì ha perso la sua innocenza, inesorabilmente lasciata indietro insieme al rimbombo dei 10 colpi di pistola che raggiunsero il suo grande amico, il suo supereroe non più invulnerabile, sulla sua ormai mitica Mehari verde.

Nell'estate in cui tutto cambiò, un'intera città si risvegliò Fortapàsc.


Buone letture,

Eva.

giovedì 15 febbraio 2018

RECENSIONE - "Patria" - F. Aramburu

Buongiorno!
Ritorno dopo un po' di tempo per lasciarvi le mie impressioni su un libro molto intenso, la cui lettura è imprenscindibile per chi ama interrogarsi e riflettere su sé stesso e il mondo.

RECENSIONE
PATRIA
Fernando Aramburu
Trad. Bruno Arpaia
Guanda, 2017

TRAMA: Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’eta, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato... Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.
Con la forza della letteratura, Fernando Aramburu ha saputo raccontare una comunità lacerata, e allo stesso tempo scrivere una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di sentimenti feriti: un romanzo da accostare ai grandi modelli narrativi che hanno fatto dell’universo famiglia il fulcro morale, il centro vitale della loro trama.

Così mi ha detto. Di non andare in paese per non ostacolare il processo di pace. Lo vedi, le vittime danno fastidio. Ci vogliono spingere con la scopa sotto il tappeto. Non dobbiamo farci vedere e, se scompariamo dalla vita pubblica e loro riescono a tirare fuori dal carcere i detenuti, be', questa è la pace e tutti contenti, qui non è successo niente.

Tanti anni fa mio marito e io facemmo un viaggio, e ci trovammo a condividere uno spazio ristretto (le cabine di una barca) con un ristretto gruppo di turisti europei: oltre a noi c'era un'altra coppia italiana, una coppia di ragazzi francesi, una giovane inglese, e sette persone di nazionalità spagnola: una coppia basca e una famiglia catalana. Dopo qualche giorno di convivenza, chiacchere e racconti, il ragazzo francese fece una proposta: perché non organizzare, al successivo scalo della barca, una bella partita di pallavolo: Spagna contro resto d'Europa? La famiglia di Barcellona si irrigidì subito, e il ragazzo basco scambiò uno sguardo con la sua compagna e poi sibilò: allora giocate solo voi, perché qui non ci sono spagnoli.

Leggere questo straordinario libro di Aramburu mi ha riportato alla memoria questo episodio, che all'epoca trovai agghiacciante e che ancora adesso mi mette i brividi. E' qualcosa difficile da capire: sicuramente io non riesco a comprendere come si possa sentire così forte l'appartenenza a un gruppo, a una cultura, a una tradizione, da rifiutare altre definizioni, da erigere muri, da arrivare a odiare l'altro solo perché ritenuto diverso da sé. Per me patria, terra, nazione, sono concetti labili e inconsistenti, buoni a malapena per tifare la nazionale di rugby (*). Mentre per i protagonisti di "Patria", magnificamente delineati dall'autore, queste parole, questi concetti, diventano cardine e chiave di interpretazione della loro esistenza. Per difenderla e addirittura fare del male in suo nome; per essere ciechi di fronte all'evidenza, decidendo lucidamente di stare dalla parte della propria gente, anche quando sbaglia; per riconoscere con orrore che non basta essere delle brave persone per essere protette dal male, e vedere la propria vita distrutta senza comprenderne il motivo.

La famiglia. Gli ideali. L'amore materno che può arrivare a essere cieco e ottuso. L'amicizia che resiste al tempo, quella che dal tempo viene sgretolata. I diversi modi di reagire al dolore. L'incapacità di riconoscere l'altro, di mettersi nei suoi panni, di comprenderne le ragioni. L'empatia, o la mancanza di essa. Il rifiuto di farsi domande, di chiedersi se quello in cui si crede (in cui ci hanno insegnato a credere) sia davvero la cosa giusta, perché farsi queste domande significherebbe mettere in gioco troppo di noi. Temi grandi, profondi, scrittura potente, personaggi meravigliosi. E su tutto, continue, le domande: da che parte si deve stare? Si deve davvero scegliere? E' sempre giustificato quello che si fa per una causa superiore? E' sempre doveroso chiedere perdono? E' sempre giusto perdonare?

La sua deliberata solitudine, quella di un uomo sempre più stanco. E altrettanto diffidente. I suoi rimuginii, quelli di una coscienza in cui a poco a poco avevano smesso di risuonare slogan, argomenti, tutti quei rottami verbali/sentimentali con i quali per lunghi anni aveva oscurato la propria verità intima. E qual era questa verità? Quale dev'essere? Che aveva fatto del male e aveva ucciso. Per cosa? E la risposta lo riempiva di amarezza: per niente.

Buone letture,
Eva



(*) Per spiegarvi meglio come la penso: per dirla con Patrick O'Brian, l'autore dei romanzi marinareschi sulle avventure di Jack Aubrey, per bocca del medico anarchico Stephen Maturin: patriottismo significa pensare che la propria patria abbia sempre ragione, il che è stupido; oppure stare dalla parte della propria patria anche quando si sa che ha torto, il che è decisamente infame.

martedì 13 febbraio 2018

WORLD RADIO DAY

Buongiorno!

Oggi 13 Febbraio si festeggia la Giornata Mondiale della Radio. Nell'anniversario della prima trasmissione radio dell'ONU (13 Febbraio 1946), si celebra uno dei mezzi di comunicazione più immediati, liberi e polivalenti che ancora oggi regala libertà e musica a tutti.

Personalmente amo moltissimo riempire le mie giornate con la radio, e come tutti ho le mie preferenze in fatto di trasmissioni: per esempio, ultimanente mi sto appassionando ai programmi di approfondimento sulla politica estera, che mi permettono di gettare uno sguardo oltre confine, con notizie e inchieste che difficilmente trovano spazio sulla programmazione ordinaria della TV. E inoltre ho appena scoperto un canale interamente dedicato alla musica classica, che mi piace ascoltare soprattutto al mattino presto, mentre vado al lavoro.

Per contribuire a questa celebrazione, vi lascio con la segnalazione di un bellissimo libro che ho letto qualche mese fa, che ha per protagonista proprio un giornalista radiofonico che riempie con la sua voce la notte di Madrid.

Negli studi di Madrid della radio nazionale, ogni venerdì intorno a mezzanotte, la voce di Nancy Sinatra canta Bang Bang e introduce «Onde confidenziali», trasmissione di cronaca nera e inchieste, condotta da Diego Martín. Nel corso di due ore Diego propone indagini studiate nel dettaglio, ricerche sul campo, interviste con fonti attendibili. Il suo è un giornalismo lento che sembra contraddire l’urgenza frenetica di una costante narrazione mediatica. La trasmissione, molto scomoda, molto amata ma anche criticata, è una specie di paradosso in una Spagna che scopriamo essere sull’orlo di un precipizio. Il paese è in piena crisi economica, il malessere e la tensione sociale sono sempre più alti e improvvisamente la destra postfranchista vince le elezioni dopo dodici anni di governo socialista. È uno scarto letterario, quello dell’autore, ma verosimile. È il ritorno dei fascisti, dei reazionari, dei cattolici ultra tradizionalisti, e infine è la dissoluzione della Spagna moderna, quella della tolleranza per tutti.
La sera delle elezioni uno dei giovani candidati del partito vincitore viene assassinato, il primo di una serie di omicidi in diverse città spagnole. Da Madrid a Valencia, passando per Barcellona, le vittime non hanno legami apparenti tra loro, e invece Diego Martín scorge un intreccio, tenta di unire i frammenti del puzzle, ma non immagina che l’investigazione lo porterà oltre la scena di un crimine locale e nel cuore di una tragedia nazionale iniziata durante il franchismo. Aiutato nella sua indagine dal giudice David Ponce e dalla detective privata Ana Durán, Diego si immerge in un dramma oscuro che la Spagna credeva di aver sepolto con la morte del dittatore: lo scandalo dei rapimenti di bambini sottratti con la forza alle famiglie considerate «rosse» e dati in adozione a chi è vicino al regime, al fine di sradicare gli antifranchisti.
Tra realtà e finzione Marc Fernandez ha scritto un romanzo coinvolgente, la scrittura secca e minimalista scruta nel presente l’ombra lunga di una ferita che non si è rimarginata, e innesta sui fatti storici la tensione noir di una trama ricca di suspense. La sua è una materia incandescente, che avvolge i personaggi e il lettore, e li spinge a guardare sgomenti le tracce e le conseguenze di un conflitto che il silenzio e la rimozione non hanno mai chiuso.

Buone letture,

Eva


sabato 27 gennaio 2018

27 Gennaio - Giornata della Memoria

Gli unici mostri che ho conosciuto erano uomini.



Probabilmente è la cosa più difficile da comprendere: che perfino l'orrore può diventare normale. Una volta dovevo immaginare come si poteva guardare un upiòr mentre succhiava il sangue dal collo di un essere umano appena ucciso senza dover distogliere lo sguardo.
Ora lo sapevo per esperienza personale: potevi vedere una vecchia alla quale avevano sparato un colpo in testa e sospirare perché il suo sangue ti aveva schizzato il cappotto. Potevi sentire una scarica di arma da fuoco senza battere ciglio. Potevi smettere di aspettarti che accadessero le cose più tremende, perché erano già avvenute.
O almeno così credevo.

Jodi Picoult, "Intenso come un ricordo"

venerdì 12 gennaio 2018

RECENSIONE - "Chilean electric" - N. Fernadez

Buongiorno!

Inaugurare il nuovo anno di letture con uno spettacolare romanzo breve, che meraviglia!

RECENSIONE
CHILEAN ELECTRIC
Nona Fernandez
2017, Edicola Ediciones

TRAMA: Santiago del Cile, 1883. La luce elettrica illumina per la prima volta Plaza de Armas trasformando in un lampo la vita delle persone e il volto della città. Una bambina assiste alla cerimonia, affascinata e spaventata da quel bagliore che si burla del tempo. Molti anni dopo, interpretando gli indizi nascosti nei racconti della propria infanzia, sua nipote ripercorre le strade di Santiago e quelle della memoria per salvare dalle ombre i ricordi e il dono ereditato dalla nonna. In un continuo salto tra passato e presente, finzione e realtà, Nona Fernández costruisce la sua personale genealogia della luce.







Questa scena è mia, sarò io ad azionare l'interruttore non appena avrò terminato il discorso. E dopo aver contato fino a tre, quando accenderò la luce della piazza e comincerò a raccontare di nuovo tutta questa storia, per lo meno qui, nel territorio di questa pagina, né lei né nessun altro scompariranno mai più.

Avevo adocchiato questo libro, leggendo qua e là alcune (pochissime) recensioni sul web, ma soprattutto ero attratta dalla splendida copertina e dalla curiosa storia della CE: la Edicola Ediciones, infatti, è stata fondata nel 2013 da Paolo Primavera e da sua moglie Alice Rifelli, italiani a Santiago, e si pone l'obiettivo di fungere da "ponte" tra il Cile (e l'intero Sudamerica) e l'Italia, portando nel nostro paese autori inediti (in massima parte di lingua spagnola) e anche viceversa.

Ho scoperto solo dopo averlo terminato, incantata dalla sua prosa asciutta e allo stesso tempo lirica ed evocativa, alla ricerca di maggiori notizie, che questo romanzo è stato premiato, nel 2016, come "il migliore pubblicato in Cile", e che la sua autrice è stata definita come uno dei "segreti meglio custoditi della letteratura sudamericana".

Ed è infatti nella letteratura sudamericana più classica, nelle poetiche della prima Allende, di Garcia Marquez, di Amado, e forse ancor più di Manuel Scorza e Manuel Puig, che questo libro affonda le mani, rimescolandone e personalizzandone la narrazione, le tematiche, lo stile, in un modo felice e riuscitissimo.

Nona Fernandez ci racconta dell'avvento della luce in Cile, nel lontano 1883, quando l'illuminazione pubblica raggiunse per la prima volta la Plaza des Armas di Santiago del Cile. Rivive l'avvenimento attraverso le parole della sua amata nonna, e attraverso le sue parole anche il lettore impara l'importanza e la potenza (non solo reale ma anche metaforica) dell'illuminazione, della corrente elettrica, della possibilità - che ora diamo per scontata - di camminare per strada, di vedere immagini, ascoltare suoni, leggere quando vogliamo.

E attraverso il racconto di una vita qualunque immersa in passaggi storici cruciali, rileggiamo anche la storia recente di un paese tormentato e bellissimo, le sue luci e le sue tantissime, cupissime ombre. Leggiamo dei volti degli scomparsi stampati sul retro delle bollette della luce - ironia della sorte crudele. Leggiamo della ferocia del potere che cerca di spegnere le fiamme della rivolta e della ribellione, la luce della democrazia e della libertà. Leggiamo della forza inesorabile delle parole, della possibilità di "illuminare con la scrittura la temibile oscurità".

Consigliatissimo, per iniziare l'anno in modo "illuminante".

Buone letture,
Eva