mercoledì 29 novembre 2017

RECENSIONE - "Isole minori" - Lorenza Pieri

Buongiorno!

Ancora una storia familiare, un rapporto tra sorelle, al centro del romanzo di cui vi parlo oggi.

RECENSIONE
ISOLE MINORI
Lorenza Pieri
2016, Edizioni E/O

TRAMA: Due sorelle nate negli anni Settanta su un’isola con meno di mille abitanti, una madre combattiva e un padre edonista, una nonna partigiana, un ragazzo selvatico. Un racconto che dura quattro decenni e ha come centro geografico, politico e sentimentale l’isola del Giglio. Un luogo apparentemente paradisiaco e lontano dal resto del mondo, ma che diventa punto di partenza e di arrivo di eventi che segnano una storia familiare e al tempo stesso la storia del paese. Teresa, figlia minore e voce narrante, tenterà di fuggirne per trovare il suo posto nel mondo, ma con l’isola dovrà tornare a fare inevitabilmente i conti, così come dovrà farli con il distacco dalla sorella, amata e odiata, con le vicende politiche che continuano a ossessionarla, con la nostalgia della lunga estate che è stata la sua infanzia, con la sua “minorità”, la cui accettazione è la chiave per recuperare tutto quello da cui le sembrava necessario fuggire. Sospeso tra romanzo di formazione, saga familiare, parabola sugli ultimi quarant’anni di storia italiana, il romanzo di Lorenza Pieri è un libro intenso e luminoso, in cui la lingua ha la forza magnetica della natura selvaggia e del mare a cui si ispira.

Caterina il sole, io nella sua ombra.
Caterina che piange di rabbia, io che rido per niente.
Caterina e le sue storie, io il suo pubblico.
Caterina l'avvocato, io il cliente assolto.
Caterina rossa, tra i rovi e l'erba secca, io mora, tra i papaveri e le ginestre.
Caterina continente, io isola minore.

Faccio una piccola premessa: scrivo questa recensione un po' di tempo dopo aver letto questo libro, e nonostante questo riesco ancora a sentire la gioia che mi ha portato l'averlo fatto, tanto che, restia a separarmene fisicamente, non l'ho prestato neanche all'unica persona a cui non ho paura di affidare i miei libri, certa che li tratterà come e meglio di me. Eppure, con questo "Isole minori", è scattato davvero qualcosa: quell'affezione particolare che ti porta ad amare un libro, a essere felice di averlo letto e di saperlo lì, al sicuro nella tua libreria, pronto per essere preso di nuovo in mano in qualsiasi momento, per essere sfogliato e riletto e amato, di nuovo.

Lorenza Pieri ha scritto (magnificamente) una storia di famiglia, una di quelle che si svolgono su un arco temporale lunghissimo - decenni - e che permettono di seguire nella loro crescita i personaggi e i luoghi, a cui ci affezioniamo e di cui vogliamo seguire le sorti. Sapere cosa accadrà loro, star loro accanto durante le difficoltà, gioire dei loro successi e soffrire delle loro frustrazioni, che sono un po' le nostre, quelle di tutti i giorni, quelle della vita.

Il rapporto tra le sorelle Caterina e Teresa è reso molto bene e le due ragazze, bambine prima, donne poi, sono presentate con i loro caratteri diversissimi, con i loro pregi e difetti, talmente reali che ci sembra di conoscerle, di essere loro amiche. Per me, nata come loro negli anni Settanta (anche se non su un'isola, ma in una realtà di periferia molto simile) è stato un tuffarmi nel passato, un rivivere esperienze personali anche nelle piccolissime cose (gli zoccoli ai piedi, i giocattoli della mia infanzia, la macchina di papà con i finestrini aperti per far uscire il fumo delle sigarette...). Leggere questo libro è stato seguire la storia della famiglia, della madre combattiva,  del padre superficiale ma tanto affascinante, della nonna - la fantastica nonna, la roccia, il punto di riferimento, e osservare come le piccole storie di tutti noi si intrecciano alla Storia con la S maiuscola, agli eventi che cambiano il corso di una nazione. E sullo sfondo il Giglio, quest'isola quasi magica del Mediterraneo, piena di gente in estate e desolata in inverno, quando finalmente ritorna proprietà dei suoi legittimi proprietari: il mare, il vento, i gabbiani, e i pochi che resistono senza tornare "sul continente".

Attraversando quarant'anni di storia italiana, Teresa, la voce narrante, ci racconta di com'eravamo, di dove volevamo andare, di dove siamo invece arrivati, e di come siamo cambiati nel frattempo. E dell'isola minore che ognuno di noi ha dentro di sé, il posto dove tornare quando crediamo di aver smarrito la strada.

Buone letture,
Eva

lunedì 27 novembre 2017

RECENSIONE - "Le sorelle dell'oceano" - L. Clarke

Buongiorno!

Ben ritrovati e buona settimana. Oggi vi parlo di una mia recente lettura, un libro che ho scovato in quello che sta rapidamente diventando uno dei miei posti preferiti per comprarne in maniera quasi compulsiva: sto parlando di una bancarella vicino casa, lungo una strada trafficata e piena di negozi, dove due ragazzi stranieri accumulano probabilmente fondi di magazzino, libri di recente pubblicazione, a volte nemmeno mai aperti. E' qui che per non so quale combinazione, faccio scorta soprattutto di editi Neri Pozza, una delle mie case editrici preferite, pagando i volumi meno di un terzo del prezzo di copertina. Un'occasione troppo allettante per resistere...

RECENSIONE
LE SORELLE DELL'OCEANO
Lucy Clarke
2015, Neri Pozza

TRAMA: Katie stava sognando il mare la notte in cui viene destata dallo squillo del telefono. Un suono inquietante nel silenzio della tenebra, un suono che annuncia l'incubo in cui, in pochi attimi, precipita la sua esistenza. Giusto il tempo di scostare le coperte, scivolare fuori dal letto, raggiungere il telefono e accorgersi che invece suonano al citofono, aprire la porta di casa e, al cospetto di due poliziotti con gli occhi puntati a terra, ascoltare le parole che non avrebbe mai voluto sentire: "Lei è la sorella di Mia Greene? Ci dispiace molto doverla informare che la polizia di Bali ci ha comunicato che Mia Greene è stata trovata morta. L'hanno rinvenuta ai piedi di una scogliera". Suicidio, secondo la polizia, che a conforto della sua tesi esibisce le affermazioni dei testimoni - una coppia sui trent'anni in viaggio di nozze ha visto Mia, sola, vicinissima al bordo della scogliera - e il referto dell'autopsia, che indica come la ragazza si sia lanciata con la faccia in avanti. Quel che resta di Mia è soltanto il suo diario: una giovane vita ridotta a poche pagine scritte e a molte rimaste bianche per sempre. Katie sa, tuttavia, che le cose non possono essere andate in questo modo. Mia non si sarebbe mai tolta la vita. Katie decide allora di attraversare l'oceano e ripercorrere le tappe del viaggio di Mia, rivivendolo attraverso le pagine del diario...

Finn fece un passo avanti e la costrinse a guardarlo negli occhi. "Questa cosa ho intenzione di dirtela una volta sola, quindi vedi di non dimenticarla".
Lei sostenne il suo sguardo.
"Tu non sei Harley. Non sei tua madre. E non sei nemmeno Katie. Tu, Mia Green, sei tu".
"Ma non sono sicura di sapere chi sono".

E' curioso leggere un libro di cui non hai mai sentito parlare, di cui non hai letto nulla, da cui non ti aspetti niente. Sei completamente libera, priva di qualsiasi pregiudizio, di ogni aspettativa: semplicemente, ti lasci andare, curiosa di scoprire la storia, i personaggi, se riusciranno a intrigarti, se li troverai simpatici. Se le ambientazioni ti affascineranno, o al contrario reseteranno un semplice fondale di cartone. Se avrai voglia di finirlo, se farai tardi a leggere anche se la mattina dopo devi alzarti presto, e la realtà ti chiama a gran voce.

Posso dire che leggere "Le sorelle dell'oceano" mi ha coinvolto sin dalle prime battute, dalle prime pagine in cui si delineano immediatamente il carattere e la vita dei pochi protagonisti: Katie e Mia, soprattutto, due sorelle che non potrebbero essere più diverse, due donne con una vita diametralmente opposta. Tanto posata e razionale una, tanto tormentata e ribelle l'altra. L'una sempre in cerca di certezze, di sicurezze, di una forma definita della propria vita, l'altra disponibile al cambiamento, all'incertezza, alla leggerezza. E tuttavia, Katie che sembra così quadrata e noiosa è in realtà solida e coraggiosa, mentre Mia, che all'inizio affascina e fa quasi tenerezza nella sua levità, nel suo "sfarfalleggiare" di qua e di là con noncuranza, mi è risultata alla fine un po' antipatica, nel suo essere infantile e incapace di assumersi le proprie responsabilità. Nel suo dare per scontata la sorella, sempre, troppo.

Questo è un romanzo in cui, bisogna dirlo, i colpi di scena nella trama si susseguono in  modo continuo, tanto che a volte mi ha dato l'impressione di leggere un feuilleton, uno di quei romanzi d'appendice di inizio Ottocento in cui alla protagonista ne succedevano di ogni. E infatti tradimenti, rivelazioni su misteri di famiglia, litigi tra fratelli, drammi e tragedie non si risparmiano, dando a volte la sensazione di "troppo". Il tutto però è stemperato da una bella scrittura, fluida e per niente pesante, e soprattutto dalle ambientazioni, magistralmente rese: l'Australia, le Hawaii, Bali... i colori dei paesaggi, i profumi esotici, il caos di culture diverse, e a fare da contraltare il freddo grigio di Londra, e la Cornovaglia spazzata dal vento.

Alla fine, ripercorrendo il viaggio della sorella, grazie al minuzioso diario che quest'ultima tiene durante il suo girovagare intorno al mondo, Katie risolve il "mistero" sulla fine di Mia e insieme viene a capo di sé stessa, della sua vita, dei suoi veri desideri, esplorando quello che c'è nel suo cuore e trovando il coraggio di cambiare quello che la tiene ancora legata alle catene della sua vecchia "lei".

Ho molto apprezzato la tecnica di narrazione adottata da Lucy Clarke: i lunghi capitoli si susseguono alternando le voci dei protagonisti e il tempo in cui le vicende si sono svolte, in un continuo rimescolarsi di presente e passato, in cui la vita di Katie e quella di Mia, dei loro amori, degli amici, dei genitori, si intrecciano e si separano come i fili di un complesso arazzo familiare.

Buone letture,
Eva.

mercoledì 22 novembre 2017

RECENSIONE - "Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio" - A. Lakhous

Buongiorno!

Quante volte ormai negli ultimi tempi mi sarò scusata per essere sparita dai radar? Il lavoro è tiranno, in certi periodi dell'anno ancora di più, e purtroppo nelle ultime settimane ho diradato le mie apparizioni sugli spazi delle amiche che cerco comunque di seguire, e abbandonato quasi del tutto il mio blogghino. Oggi però voglio condividere con voi una piccola storia, ambientata nella mia città, a Roma, con un punto di vista (anzi, tanti punti di vista) molto particolare...

RECENSIONE
SCONTRO DI CIVILTA' PER UN ASCENSORE 
A PIAZZA VITTORIO
Amara Lakhous
2006, Edizioni E/O

TRAMA: Omicidio a piazza Vittorio: una commedia all'italiana scritta da un autore di origine algerina. Questo romanzo di Amara Lakhous è una sapiente e irresistibile miscela di satira di costume e romanzo giallo imperniata su una scoppiettante polifonia dialettale di gaddiana memoria (il "Pasticciaccio" sta sullo sfondo segreto della scena come un nume tutelare). La piccola folla multiculturale che anima le vicende di uno stabile a piazza Vittorio sorprende per la verità e la precisione dell'analisi antropologica, il brio e l'apparente leggerezza del racconto. A partire dall'omicidio di un losco personaggio soprannominato "il Gladiatore", si snoda un'indagine che ci consente di penetrare nell'universo del più multietnico dei quartieri di Roma: piazza Vittorio. Forse basta mettere in scena frammenti di vita quotidiana intrecciati attorno all'ascensore, puntualmente all'origine di tante dispute condominiali, per comprendere il nodo focale del paventato, discusso, negato o invocato scontro di civiltà che assilla il nostro presente e il nostro futuro e infiamma il dibattito politico, sociale e religioso-culturale dei nostri giorni.

Ho pensato tutto il giorno al razzista che rifiuta di sorridere e mi sono reso conto che Iqbal ha fatto un'importante scoperta. Il problema del razzista non è con gli altri ma con sé stesso. Direi di più: non sorride al prossimo perché non sa sorridere a sé stesso. E' proprio giusto quel proverbio arabo che dice: "Chi non ha non dà".

Ne avevo sentito tanto parlare, volevo leggerlo da tanto tempo, ancora di più da quando ho scoperto che una mia prozia ha vissuto tanto tempo fa in un palazzo che all'epoca si diceva "stregato" proprio nella piazza del titolo... e poi, in questi tempi confusi, in cui voci contrastanti si alzano da tutte le parti per protestare contro un fenomeno su scala mondiale come la mescolanza di culture, una lettura di questo tipo è adatta per conoscere un punto di vista particolare. Anzi, come dicevo più su, tanti punti di vista particolari, perché il romanzo - breve, per la verità - è costruito in maniera molto curiosa, con le voci di undici residenti dello stabile di Piazza Vittorio che si alternano a raccontare, in prima persona, la "loro" verità. L'aspirante regista olandese accanto alla portinaia napoletana, il negoziante bengalese prima del professore milanese trapiantato suo malgrado a Roma, la povera badante peruviana, il barista Sandro, romano de Roma, insomma tutti descrivono in poche pennellate la loro realtà di solitudine, di rabbia, di perplessità di fronte a certezze di una vita che vacillano sotto i colpi di una strana modernità, di paure e di piccoli grandi atti di coraggio.

Ogni narrazione prende lo spunto dal fatto: l'omicidio di un delinquentello di mezza tacca che viveva nello stabile, il cui corpo pugnalato è stato ritrovato nell'ascensore, quello stesso ascensore oggetto delle dispute condominiali. Un morto che nessuno rimpiangerà diventa lo spunto per far esplodere rancori nascosti e inaspettate generosità, e su tutti i personaggi, al di sopra delle loro miserie, giganteggia una figura quasi mitica, quell'Amedeo che di tutti è amico, da tutti è rispettato, risolve i problemi, aiuta, sorride, tende la mano: la parte bella di noi, che quasi fatichiamo a riconoscere quando ce la troviamo davanti.

Il libro è scritto molto bene, e come dicevo è un piccolo tassello interessante per pensare, in questi tempi in cui l'immigrazione, la mescolanza delle culture, lo scontro, anche, sono argomenti molto urgenti. E' molto veloce e leggero, si legge d'un fiato, ma allo stesso tempo non va via subito, lascia da pensare, soprattutto a chi non ha paura di indagare sé stesso e le sue inconscie paure: quanto siamo realmente tolleranti, noi? Ma poi, è giusto definirsi "tolleranti"? Non ha in sé, questa parola, già un fondo di spocchia e presunta superiorità? Qual è il modo giusto di rapportarsi con culture tanto diverse da noi? Dov'è il confine - se esiste - tra "noi" e "loro"? Chi sono, "loro"? E chi siamo, "noi"?

Buone letture,
Eva