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Io credo, per dirla con le parole dell'alpinista Guido Rey, che "la montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano il riposo nella quiete, come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte". Parliamo oggi anche qui sul mio blogghino, buoni ultimi, di un libro molto apprezzato e premiato negli scorsi mesi, che ogni appassionato di montagna e di natura non può assolutamente perdersi.
RECENSIONE
LE OTTO MONTAGNE
Paolo Cognetti
2016, Einaudi
TRAMA: Pietro è un ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo "chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso" ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento. E li, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano così estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri più aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, "la cosa più simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui". Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito più vero: "Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino". Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno.
Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l'alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c'è più niente per te, mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte. Ecco come avrei dovuto rispondere a mio padre. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.
Leggere questo libro è stato un percorso molto emozionante per me, per tanti motivi, e non riuscirò a separare le mie sensazioni dalla valutazione più o meno oggettiva che si dovrebbe dare di un libro, per consigliarlo e raccomandarlo. Del resto chi mi legge forse avrà imparato ad apprezzare queste chiacchierate a volte troppo prolisse che arrivano poi alla semplice conclusione: leggetelo, fidatevi, perché è un libro bellissimo.
Perché alla fine, oltre a tutto quello che si può dire e che è stato già detto di questo romanzo di Paolo Cognetti, la cosa principale che rimane è che davvero è un libro meraviglioso, da leggere quasi centellinandolo per non arrivare troppo presto alla fine. E' un libro scritto meravigliosamente, in un italiano armonioso, musicale, una prosa che a volte sembra poesia e che affascina e incanta. E' una storia che arriva da lontano, che parla di sentimenti antichi, primordiali, essenziali: l'amicizia, l'amore, la solitudine, l'irrequietezza. E' un ritratto in parole della bellezza delle montagne, di tutte quelle possibili sconosciute a coloro che pensano che "montagna" sia solo sinonimo di arrampicata, fatica, freddo: parla della montagna dei boschi pieni di animali e di vita, della montagna dei pratoni e degli alpeggi, di quella delle pietraie e di quella dei ghiacciai perenni. Parla della montagna nelle stagioni senza turisti, certi autunni colorati come solo nei quadri, certe primavere così piene di vita nuova da commuovere.
I personaggi sono umani, deboli e sublimi allo stesso tempo, con le loro incertezze e le loro sicurezze, e ognuno di loro si approccia in modo diverso alla montagna e per ognuno di loro montagna significa qualcosa di diverso: per Pietro, il protagonista e voce narrante, montagna significa prima l'unico modo di comunicare con un padre chiuso e ombroso, tanto amato, e poi significa fuga, irrequietezza, libertà. Per Bruno, il suo amico, la montagna è semplicemente tutto il suo mondo, l'unico perimetro delle sue emozioni, un vero omo servadzo, un "uomo antico che vive nei boschi, capelli lunghi, barba, tutto coperto di foglie..."
Il libro è diviso in tre parti, quasi a simboleggiare le tre parti della vita di un uomo prima della vecchiaia: l'infanzia spensierata, la giovinezza ribelle, l'"adultità" consapevole che ci spinge a ripercorrere i nostri passi e a trovare la strada per diventare chi siamo veramente. Nello sviluppo della storia, seguiamo Pietro e l'evoluzione del suo rapporto con la famiglia, con l'amico di una vita, con la montagna e con il profondo significato di una vita spesa a cercare qualcosa che non sempre sappiamo dov'è, né cosa è. Splendida la leggenda tibetana sulle otto montagne, che dà il titolo al libro e di cui non vi parlo, per lasciare a chi deciderà di leggerlo (spero davvero in tanti) la meraviglia di scoprirla al momento giusto.
Leggetelo, fidatevi, perché è un libro bellissimo.
Cheers,
Eva