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RECENSIONE
LA FINE DELLA STORIA
Luis Sepùlveda
Guanda Edizioni
TRAMA: Juan Belmonte, dopo aver combattuto tante battaglie – prima fra tutte
quella al fianco di Salvador Allende – da anni ha deposto le armi e vive
tranquillo in una casa sul mare nell’estremo sud del Cile, insieme alla
sua compagna Verónica, che non si è mai completamente ripresa dopo le
torture subite all’epoca della dittatura. Belmonte è un uomo stanco,
disilluso, restio a scendere in campo. Ma il passato torna a bussare
alla sua porta. I servizi segreti russi, che conoscono bene il suo
curriculum di esperto di guerra sotterranea e infallibile cecchino,
hanno bisogno di lui. Sul fronte opposto, c’è il piano ordito da un
gruppo di nostalgici di stirpe cosacca, decisi a liberare dal carcere
Miguel Krassnoff, discendente diretto dell’ultimo atamano, la cui
famiglia riuscì a riparare in Cile dopo la Seconda guerra mondiale.
Krassnoff, ufficiale dell’esercito cileno durante la dittatura militare,
al momento sta scontando numerose condanne per crimini contro
l’umanità. E Belmonte ha un ottimo motivo per odiare «il cosacco», un
motivo strettamente personale...
Dalla Russia di Trockij al Cile di
Pinochet, dalla Germania di Hitler alla Patagonia di oggi, il nuovo
romanzo di Luis Sepúlveda attraversa la storia del Novecento,
raccontandone grandezze e miserie, per giungere infine alle pagine
drammatiche in cui Belmonte gioca la sua partita finale.
"Sapevo che avrebbe vegliato sul riposo di Verònica, che sarebbe rimasto all'erta mentre lei sprofondava in un sonno placido ma breve, perché da un momento all'altro le sue mani si sarebbero contratte, avrebbero stretto con disperazione le coperte, e alle sue labbra implacabilmente serrate sarebbero sfuggiti appena pochi gemiti di altri tempi, dei tempi del silenzio forzato, del silenzio che esasperava i torturatori di Villa Grimaldi e permetteva ai compagni della resistenza di guadagnare qualche ora preziosa per riorganizzarsi. Stavolta però io non sarei stato accanto a lei, ad accarezzarle i lunghi capelli mormorando sottovoce: "Parla, compagna mia, digli come mi chiamo e dove trovarmi, smettila di proteggermi con il tuo silenzio, tanto non possono farci più del male", finché le sue mani non si rilassavano e le sue labbra non tornavano ancora una volta a incurvarsi nella dolce espressione che amo, nel sorriso che riemerge dalle brume di un passato atroce."
Leggere questo libro è stato doloroso come non mi accadeva da tanto tempo, e parlarne, ora che è qualche giorno che l'ho terminato, non è per niente facile. Vorrei riuscire a trasmettere, in queste mie poche parole, tutta la sofferenza e la rabbia che ogni volta mi suscita leggere una storia che parla di uno dei momenti più neri e cupi della storia recente, ossia il periodo delle dittature militari in Sudamerica (Augusto Pinochet in Cile e Jorge Videla in Argentina, tra gli altri), tra la fine degli anni 70 e gli anni 80.
E' un argomento che mi ha sempre interessato molto, a partire dalla prima volta in cui, giovane adolescente che muoveva i primi passi nella sua consapevolezza politica e sociale, ascoltai la meravigliosa "They dance alone", di Sting (dall'album "Nothing like the Sun"), e cominciai a farmi delle domande. Ascoltare "canzonette" non mi bastava più, volevo sapere, volevo capire, e cominciai ad approfondire i temi importanti legati alle lotte peroniste, ai colpi di stato nelle repubbliche sudamericane e al coinvolgimento di paesi stranieri come gli Stati Uniti nella presa di potere di dittatori assassini e traditori del loro popolo. Non voglio fare qui un trattato nè parlare di storia, di politica o di ideali, anche se di tutto questo non si può fare a meno quando si legge un certo tipo di libri. Mi sono avvicinata a Luis Sepùlveda un po' più tardi e da allora le sue storie, i suoi personaggi e i suoi temi mi sono cari come pochi.
In questo suo ultimo libro, Sepùlveda riprende un personaggio molto amato, il Juan Belmonte di "Un nome da torero", per chiudere un cerchio personale e universale e fare i conti con un'intera generazione che è cresciuta orfana di sicurezze, di fiducia e di gioia, perché ha affrontato un nemico che sembrava invincibile - e certe volte viene da chiedersi: anche se apparentemente è stato sconfitto, è davvero così?
Un Belmonte ormai maturo, ritiratosi nel suo rifugio cileno con la sua amata compagna, ferita nel corpo e nell'anima dai torturatori, viene reclutato nuovamente per portare a compimento una missione, per arrivare finalmente alla "fine della storia", e suo malgrado deve riaffrontare i suoi personali demoni, ritornare a Santiago, dove aveva giurato che mai più avrebbe rimesso piede, incontrare persone che sembrano ormai fantasmi di un tempo lontanissimo.
"Erano vent'anni che non mettevo piede in quella città dalle estati infernali e non avevo nessuna intenzione di fermarmi più a lungo del necessario. Stavo andando a un appuntamento che non avevo cercato né voluto, e ci stavo andando perché non si sfugge alla propria ombra. Non importa dove stiamo andando, l'ombra di ciò che abbiamo fatto e siamo stati ci perseguita con la tenacia di una maledizione"
Mi ha colpito moltissimo che Sepulveda, più e più volte nel corso del libro, ripeta il concetto di "essere ombra": l'ombra di quello che eravamo, l'ombra di quello che abbiamo fatto, l'ombra dei nostri nemici... quasi a sottolineare come il passato si assottiglia, si stiracchia, a volte sembra sparire ma rimane latente, aleggia in quello che siamo diventati, in quello che siamo chiamati a fare, prima o poi, per chiudere i nostri conti in sospeso.
La conclusione, la "fine della storia", è inaspettata e insieme naturale, è potente e angosciante eppure anche consolatoria. Quando ho finito il libro, quando ho letto l'ultima parola dell'ultimo capitolo, sono rimasta per qualche minuto in un silenzio attonito, a pensare, a cercare di ascoltare e districare tutte le emozioni che questo libro mi ha mosso dentro.
A volte, e questo è il caso, bisogna essere grati a un autore per la bellezza della sua prosa, per la forza dei suoi personaggi, per la magia delle sue parole e soprattutto per la potenza della sua idea.
"La fine della storia" è un libro amaro, emozionante, cupo, coinvolgente; è un libro necessario, e soprattutto un libro bellissimo.
Cheers,
Eva