Quante volte ormai negli ultimi tempi mi sarò scusata per essere sparita dai radar? Il lavoro è tiranno, in certi periodi dell'anno ancora di più, e purtroppo nelle ultime settimane ho diradato le mie apparizioni sugli spazi delle amiche che cerco comunque di seguire, e abbandonato quasi del tutto il mio blogghino. Oggi però voglio condividere con voi una piccola storia, ambientata nella mia città, a Roma, con un punto di vista (anzi, tanti punti di vista) molto particolare...
RECENSIONE
SCONTRO DI CIVILTA' PER UN ASCENSORE
A PIAZZA VITTORIO
Amara Lakhous
2006, Edizioni E/O
TRAMA: Omicidio a piazza Vittorio: una commedia all'italiana scritta da un autore di origine algerina. Questo romanzo di Amara Lakhous è una sapiente e irresistibile miscela di satira di costume e romanzo giallo imperniata su una scoppiettante polifonia dialettale di gaddiana memoria (il "Pasticciaccio" sta sullo sfondo segreto della scena come un nume tutelare). La piccola folla multiculturale che anima le vicende di uno stabile a piazza Vittorio sorprende per la verità e la precisione dell'analisi antropologica, il brio e l'apparente leggerezza del racconto. A partire dall'omicidio di un losco personaggio soprannominato "il Gladiatore", si snoda un'indagine che ci consente di penetrare nell'universo del più multietnico dei quartieri di Roma: piazza Vittorio. Forse basta mettere in scena frammenti di vita quotidiana intrecciati attorno all'ascensore, puntualmente all'origine di tante dispute condominiali, per comprendere il nodo focale del paventato, discusso, negato o invocato scontro di civiltà che assilla il nostro presente e il nostro futuro e infiamma il dibattito politico, sociale e religioso-culturale dei nostri giorni.
Ho pensato tutto il giorno al razzista che rifiuta di sorridere e mi sono reso conto che Iqbal ha fatto un'importante scoperta. Il problema del razzista non è con gli altri ma con sé stesso. Direi di più: non sorride al prossimo perché non sa sorridere a sé stesso. E' proprio giusto quel proverbio arabo che dice: "Chi non ha non dà".
Ne avevo sentito tanto parlare, volevo leggerlo da tanto tempo, ancora di più da quando ho scoperto che una mia prozia ha vissuto tanto tempo fa in un palazzo che all'epoca si diceva "stregato" proprio nella piazza del titolo... e poi, in questi tempi confusi, in cui voci contrastanti si alzano da tutte le parti per protestare contro un fenomeno su scala mondiale come la mescolanza di culture, una lettura di questo tipo è adatta per conoscere un punto di vista particolare. Anzi, come dicevo più su, tanti punti di vista particolari, perché il romanzo - breve, per la verità - è costruito in maniera molto curiosa, con le voci di undici residenti dello stabile di Piazza Vittorio che si alternano a raccontare, in prima persona, la "loro" verità. L'aspirante regista olandese accanto alla portinaia napoletana, il negoziante bengalese prima del professore milanese trapiantato suo malgrado a Roma, la povera badante peruviana, il barista Sandro, romano de Roma, insomma tutti descrivono in poche pennellate la loro realtà di solitudine, di rabbia, di perplessità di fronte a certezze di una vita che vacillano sotto i colpi di una strana modernità, di paure e di piccoli grandi atti di coraggio.
Ogni narrazione prende lo spunto dal fatto: l'omicidio di un delinquentello di mezza tacca che viveva nello stabile, il cui corpo pugnalato è stato ritrovato nell'ascensore, quello stesso ascensore oggetto delle dispute condominiali. Un morto che nessuno rimpiangerà diventa lo spunto per far esplodere rancori nascosti e inaspettate generosità, e su tutti i personaggi, al di sopra delle loro miserie, giganteggia una figura quasi mitica, quell'Amedeo che di tutti è amico, da tutti è rispettato, risolve i problemi, aiuta, sorride, tende la mano: la parte bella di noi, che quasi fatichiamo a riconoscere quando ce la troviamo davanti.
Il libro è scritto molto bene, e come dicevo è un piccolo tassello interessante per pensare, in questi tempi in cui l'immigrazione, la mescolanza delle culture, lo scontro, anche, sono argomenti molto urgenti. E' molto veloce e leggero, si legge d'un fiato, ma allo stesso tempo non va via subito, lascia da pensare, soprattutto a chi non ha paura di indagare sé stesso e le sue inconscie paure: quanto siamo realmente tolleranti, noi? Ma poi, è giusto definirsi "tolleranti"? Non ha in sé, questa parola, già un fondo di spocchia e presunta superiorità? Qual è il modo giusto di rapportarsi con culture tanto diverse da noi? Dov'è il confine - se esiste - tra "noi" e "loro"? Chi sono, "loro"? E chi siamo, "noi"?
Buone letture,
Eva
Mi piacciono i libri che fanno riflettere e mettono sotto la lente le mie paure nascoste e i miei pregiudizi. Sono tollerante, sono aperta o solo radical chic di facciata? Lo segno.
RispondiEliminaCiao Eva.
Lea
Ciao Lea, sì, secondo me questo romanzo è molto interessante soprattutto per gli interrogativi che suscita. In aggiunta, la figura di certi "tipi" romani è descritto davvero bene!
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